venerdì 7 febbraio 2014

Le recensioni del Grognardo: Zero Charisma e il male da gioco di ruolo


Con questo articolo mi appresto alla prima recensione del blog. In realtà pensavo di partire con qualcos’altro, ma il fatto è che la settimana scorsa vedo un messaggio di un amico sardo su Facebook che mi avvisa di un filmetto americano intitolato Zero Charisma (2013). Più che avvisarmi, mi scrive che guardando al trailer non ha potuto che pensare a me. Mi incuriosisco quindi, guardo il trailer e leggo qualche recensione.

Il film non ha una bruttissima nomea e si trova facile in rete, decido quindi di procurarmelo

Nel caso anche voi, leggendo queste poche righe, siate adesso solleticati dall’idea di una visione, vi allego il trailer e vi avverto che il film è completamente in inglese (o almeno, io non ho trovato una versione italiana). Il film, come si può intendere dal gioco di parole insito nel titolo, fa riferimento alla bassa attrattiva che i giocatori di ruolo (e da tavolo aggiungerei) esercitano sul mondo esterno.

La locandina di Zero Charisma
Scott, il protagonista del film, concentra in sé tutte le caratteristiche nerd che l’umanità seduta ai tavoli da gioco riesca a mostrare: è grassoccio, amante di qualunque tipo di schifezza alimentare (che elargisce e consuma durante le sessioni di gioco), risulta maldestro col genere femminile, è di carattere irascibile e fan di gruppi heavy metal anni 70-80 di cui veste le magliette, vive a casa con la nonna nonostante sia ultratrentenne (caratteristica ancora più difficile da accettare nella cultura americana) e si arrangia con piccoli lavoretti precari e sottopagati. La sua cameretta è quella di un adolescente, tappezzata di poster e invasa di giochi, priva di un qualunque ordine.
La sua vita risplende solo un giorno a settimana, quello nel quale si ritrova con gli amici e arbitra una campagna che procede da 3 anni ad un gioco di ruolo da lui inventato. 

A rompere l’equilibrio della sua routine è il forfait di uno dei suoi amici dovuto ad un estremo tentativo di salvare il matrimonio in crisi. Inizia quindi per Scott la ricerca di un degno sostituto e qui arriva Miles, un geek di natura più moderna, il quale ha trasformato delle sue piccole diversità un’attrattiva: è intelligente, stiloso e interessante, convive con una bella ragazza e, soprattutto, ha una vita sessuale regolare. Inutile dire che il nuovo arrivato sconvolgerà gli equilibri del gruppo non solo nel mondo virtuale, ma in particolare in quello reale.
Senza addentrarmi ulteriormente nel copione, la mia impressione è che il film tratteggi piuttosto bene il ritratto del nerd vecchia scuola e riesca in questo a strappare qualche sorriso, tuttavia da commedia il taglio a cui la pellicola approda è quello del dramma. La ragione di esistenza di Scott è il gioco di ruolo e vedersi sottratto il suo piccolo palcoscenico da Miles lo mette di fronte ai fallimenti della sua vita. La morale, esplicitata più volte nell’ora e mezza di visione, è: questo non è un lavoro, ma divertimento. Scott rifiuta questo concetto, perché significherebbe ammettere che l’unico ambito nel quale si è veramente applicato e dal quale ha qualche ritorno d’immagine, seppur in una cerchia ristretta, non dovrebbe essere preso così seriamente.
 

Completata la visione, aldilà dei giudizi cinematografici, non ho potuto non pensare a chi sono io e a come viene affrontato questo passatempo. Nonostante la figura di Scott sia stigmatizzata, si deve ammettere che il mondo del gioco pulluli di figure peculiari. Aggirandosi per le convention e stilando una casistica dell’avventore tipo si arriva ancora a teorizzare una check-list che è l’essere umano Scott. Fortunatamente, mi pare di notare che, essendosi alcuni generi e concetti sdoganati, il genere giocatore si sia evoluto grazie ad un'utenza più ampia e che l’hardcore nerd si sia ingentilito nella più innocua tipologia alla Big Bang Theory. Se gli anni 70-80 il gruppo del BADD (Bothered about Dungeons&Dragons) puntava il dito all’hobby a causa del continuo riferimento a streghe, assassini, diavoli, demoni e quant’altro (cosa che portò al ripulisti della seconda edizione), io rimango maggiormente preoccupato dal coinvolgimento emotivo che il gdr può avere su adulti e ragazzini.

Il fatto è che i nostri alter ego conducono, il più delle volte, vite molto più esaltanti, gloriose e remunerative delle nostre reali esistenze e ciò rischia di portarci ad apprezzare maggiormente i momenti di gioco rispetto a quelli vissuti al di qua delle terre fantastiche.
L'altra locandina del film
Facciamo chiarezza: il gdr può essere una vera boccata di ossigeno, un antistress eccezionale dove intraprendere rapporti veri con i compagni di gioco, permette di tentare ingegnose collaborazioni, sperimentare nuove vie altresì pericolose nella vita vera, affina la capacità di parlare in pubblico, la gestione del turno d'intervento in un colloquio tra più partecipanti e la capacità di ascolto, ma se preso nel modo sbagliato rischia di avviarci ad un’inversione delle priorità e degli obiettivi, del reale e dell’irreale. Insomma, il dilemma è aperto, come tutte le attività umane, quando svolte con passione, può essere totalizzante e appagante; tuttavia rischia di essere talmente geniale da risultare estraniante.
Ricordo chiaramente da adolescente che, mentre giocavamo, la madre dell'amico che ci ospitava commentava con una vicina che manco capiva cosa dicessimo. Sapeva però eravamo completamente assorti in un mondo immaginario e che questo era pagato con qualche insufficienza di troppo a scuola.

Questo blog vuole essere uno strumento di confronto e mi accollo il rischio di raccontare sinceramente la mia esperienza. Spero quindi che nessuno si offenda e che vogliate comprendere  ciò che intendo comunicare. Credo che la capacità estraniante del gdr vada soppesata e che sia compito di tutti i partecipanti capire se qualcuno, specie in giovane età, stia passando la soglia che può condurre a qualche problema di socialità, che comunque spesso sono già insiti nell'individuo che li dimostra.
Per chiudere, mi appello al buon senso perché questo passatempo non sia discriminato, ma valorizzato. C'è tanta cultura nella testa e nei cuori di chi gioca di ruolo e una capacità di astrazione che, se indirizzata correttamente, dà ben altri frutti che quelli dimostrati dallo Scott di Zero Charisma

P.S.
Giusto perché si sappia, il mio amico sardo giocò una volta sola con me e si divertì moltissimo. Lavoramo a Londra, eravamo belli, giovani, pieni di grandi ideali e sognavamo un mondo differente. Sempre perché si sappia: tutto questo non è cambiato!

2 commenti:

  1. Siccome ho attraversato, in passato, periodi in cui ero fin troppo invasato per i gdr, sento molto mie queste tematiche. In effetti, al tempo, pensavo che i gdr fossero il mio problema, ma ora ho capito che sbagliavo. Giocare di ruolo rappresenta una bella via di fuga dalla realtà, e se ne abusi... bhe... evidentemente è perché hai qualche grosso problema con la vita vera! Se sei una persona equilibrata, per quanto la passione ludica bruci in te, non ti consumerà mai; se invece non lo sei... ti attaccherai alla prima via d'uscita che trovi, che sia un'ossessione, un credo o una droga. Se davvero qualcuno vuole aiutarti, non ci riuscirà certo impedendoti di giocare o cercando di farti riflettere sulla futilità di quello che stai facendo, perché non è quello il problema. Anzi, forse il quel periodo della tua vita è la tua unica ancora di salvezza.

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    1. Che bella riflessione Sikander, grazie del tuo contributo.

      Ogni passatempo richiama una schiera di appassionati: lo stadio, la musica, gli sport di montagna e di mare e via dicendo. Una parte di queste persone si rifugia nei propri passatempi, come giustamente fai notare, per coprire qualche altro tipo di problema.
      A seconda del ramo, se ci si prende troppo sul serio, si può mettere a rischio la propria incolumità personale, fisica o psicologica. Ma come dice una canzone dei Cani “le velleità a volte ti aiutano a scopare” o comunque a sopravvivere meglio quando il resto della vita non funziona esattamente come vorresti.
      Insomma, qualunque tipo di eccesso è nocivo, ma è anche vero che ho visto almeno quattro o cinque persone trovare rifugio nel gruppo o nell’associazione di cui faceva parte e grazie ad esso sopravvivere alle intemperie della vita.

      Insomma, cosa aggiungere? Dalla tua riflessione profonda, intuisco che il peggio è passato e che adesso navighi sereno. Questo, chiunque tu sia, ti assicuro, mi fa veramente piacere.

      Grazie per essere passato di qua.

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