mercoledì 10 agosto 2022

Gli Sproloqui del Grognardo: il Cacciatore di Regolamenti

Ciao,

capita anche a voi quando passate vicino alla libreria dove rimangono – ordinatamente e in bella mostra - i manuali con i quali avete giocato negli anni della giovinezza, di provare un attimo di nostalgia? Quelle volte che mi accade, scorro i titoli dei volumi con una rapida occhiata e ne scelgo uno. Spesso, confesso, sono sempre i soliti a finirmi tra le mani: gli amici fidati di una volta. Annuso le pagine, poiché quella stampa aveva un odore piacevole, dolce, e mi metto seduto a sfogliarli. Se mi colpisce un dettaglio che mi ero dimenticato, mi soffermo e aggrotto le ciglia stupito. Il più delle volte, però, mi rendo conto di avere ancora la memoria limpida e ripongo con delicatezza il tomo dopo poche decine di secondi. La nostalgia è una brutta bestia, me ne rendo conto. Ci sono giocatori, ne conosco diversi, che famelicamente cercano le stesse emozioni in nuovi amori, con alterne fortune. Io li chiamo i cacciatori di regolamenti.

C’è qualcosa di romantico in questa ricerca senza fine. Molti, moltissimi giocatori – di ruolo, ma ovviamente anche di giochi da tavolo – sono collezionisti. Saltano di titolo in titolo come fossero avventure di una notte. Acquistato un gioco e magari fanno una partita, magari no, rarissimamente una campagna. Per qualche motivo non c’è il tempo. Per qualche motivo, ora che si possono permettere quello che desiderano e sono circondati dall’opulenza, non riescono più ad approfittarne e ad approfondire. Però accumulano. Riempiono scaffali in compenso. Poi quando il posto nella libreria è terminato vanno all’IKEA e comprano un'altra scaffalatura. Nei casi più critici, se i muri sono già occupati, usano gli armadi. I vestiti lasciano spazio allo scatolame.
Ricordo l’ultima volta che traslocai. Messe le mensole sul Billy, lo riempii per intero di manuali di Dungeons&Dragons. Chiamai la mia compagna di allora per comunicarle, anche un po’ scherzosamente: «Sai, credo di avere un problema…». Col tempo ho imparato a circoscrivere le mie passioni. Il collezionista per evitare di vivere nel dolore deve anzitutto sapere tracciare dei limiti. Nel mio piccolo ho scelto una sola ambientazione: i Forgotten Realms, e sebbene di tanto in tanto sia tentato da Birthright o Darksun, mi obbligo a non comprare. So che se cominciassi la mia rincorsa diventerebbe affannosa e molto costosa, specie ora che Stranger Things ha sdoganato D&D, collocandolo tra i prodotti cult per eccellenza e anche le ragazze sfoggiano magliette dell’Hellfire Club come capi alla moda (Nota: la foto che allego al post non è tarocca, ma è stata scattata in un locale in prossimità del centro di Modena).

Altro ricordo di una Play ormai passata. Stavo scambiando due parole con un commesso della Cranio Creations. Vedendo l’indecisione all’acquisto di un amico tra due titoli presenti in catalogo, condivise con me questo pensiero. Disse più o meno così: «L’indecisione è naturale… se pensi che devi spendere 50 euro per un gioco che giocherai una, forse due volte». Quanta verità in così poche battute.

Il cacciatore di regolamenti si aggira per le convention con un’unica speranza nel cuore, quella di essere stupito nuovamente. Così quelle rare volte che il settore viene ammodernato da una meccanica originale: il draft di Seven Wonders, il deck building di mazzi non collezionabili di Dominion, ecc. ringrazia con una lacrimuccia del bimbo che ancora vive in lui. Se gli autori sapessero quante delle loro fatiche giacciono sugli scaffali degli amatori dopo essere stati appena sfogliati. Manca il tempo. Sì, l’ho già scritto, per qualche assurdo motivo manca il tempo. O no, forse il cacciatore di regolamenti non si innamora più. Si gira, guarda l’oggetto dei suoi desideri, ma non lo ama profondamente perché quell’emozione è una copia di un’altra già provata, e la copia di un’emozione è solamente una versione sbiadita dell’originale.

Ecco il motivo dell’OSR, ecco perché molti cacciatori di regolamenti ad un certo punto hanno bisogno di scrivere, correggere, rivedere, creare delle house rule. Scavano nella memoria, modificano, ammodernano con gusto vintage. Lo fanno nella speranza di trovare le mani del bimbo perduto, di afferrarlo bene forte e tirarlo fuori dal pozzo, magari senza spezzargli il polso come accadde al povero Alfredino Rampi.

In una società sempre più veloce e in movimento pare che anche la fruizione dei titoli debba essere una porzione singola (cit. Fight Club). Non deve durare più di un’ora e mezzo, il gioco, mi dicevano. Se no è per gamers. Io giocavo a Risiko, durava 4 ore e manco finivamo, ma non ero certo un gamer, o forse sì? È che c’era il tempo, negli anni ’80  e ’90 si aveva ancora la possibilità di annoiarsi. Allora una passione la dovevi trovare. Fuggivi alla noia leggendo, imparando a suonare uno strumento, studiando e, sì, giocando.

Il cacciatore di regolamenti è allora forse in cerca del tempo che non ha più, che gli sembra di non possedere più? Chi glielo ha portato via, com’è che se l’è fatto fregare? Ne è valsa la pena?

Con l’inflazione al galoppo e tutta questa incertezza che ci è spuntata alle spalle, forse – come mostra anche il trend del mondo del lavoro – sarebbe ora di ripensarci al tempo che abbiamo regalato, sparso in mille rivoli, spalmato sui social e riprendercelo. Smettere di essere amanti avari, smettere di essere cercatori di regolamenti, ma dargliela una possibilità a questi partner insoddisfatti che giacciono - come pallidi fantasmi - sulle nostre mensole.

4 commenti:

  1. Dal titolo pensavo si trattasse di un nuovo identikit, quello del giocatore "azzeccagarbugli".
    Dunque, sollevi delle questioni molto interessanti su cui anche io ho riflettuto. Ad esempio mi è sembrato assurdo che un mio amico comprasse i giochi da tavola Dominant Species, Arkham Horror e altri senza mai giocarci nonostante le mie insistenze. Ma i soldi sono suoi (e non sono nemmeno pochi :D) e ci fa quello che vuole.
    Un problema del non riuscire a provare i giochi di ruolo che si è preso è riuscire a mettere d'accordo tutti i giocatori: chi vorrebbe provare Rolemaster, chi preferisce Call of Cthulhu, chi è attirato da cose più di nicchia... e così alla fine si finisce/finiva a giocare sempre ad AD&D che metteva d'accordo tutti senza mai soddisfare del tutto nessuno! Quando finirò la campagna di Planescape che molto lentamente sto portando avanti pensavo di sottoporre al mio giocatore una "campagna" in cui giocherà a ogni singolo gdr della mia collezione, tranne quelli meno potabili come Fantasmi Assassini o La Mia Vita col Padrone.
    Il collezionismo è qualcosa di irrazionale, di emotivo, ma fidati che esistono collezionismi ben più costosi di manuali o box da 50 o anche 100 euro.
    Una penultima annotazione: io non tornerei indietro a quando giocavo i primi anni, perché non avevo ancora la confidenza con la regole e la "furbizia" che ho oggi. I gdr me li godo molto di più oggi, anche se sicuramente un po' dell'effetto nostalgia contribuisce al godimento.
    Un'ultima annotazione: guarda che tutto Birthright e tutto Dark Sun non occupano molto spazio. Per dirti, io le scatole e le avventure di Dark Sun le ho in un armadio (proprio al posto dei vestiti!) e occuperanno un mezzo metro lineare, forse meno. I supplementi spillati li ho invece insieme all'altro materiale di AD&D e anche lì saranno 30/40 centimetri... e dai, cedi alla tentazione... (anche se coi prezzi che ha raggiunto Dark Sun posso capire la tua ritrosia! Ma se vuoi dei consigli mirati su cosa prendere io sono qui. eh eh).

    RispondiElimina
  2. Ciao Luca,
    la tua è una riflessione valida, ed è uno dei motivi perché molti giochi - mi riferisco ai giochi da tavolo in particolare - vengono giocati solo un paio di volte e poi accantonati. Ce ne sono troppi da fare. Intendiamoci, spesse volte le case editrici mirano proprio a questo: permettere l'esperienza massima di una regolamento fin dalla prima partita. Non sono però questi i giochi della nostra giovinezza. Le vere potenzialità di Battletech, Blood Bowl, Heroquest e via dicendo le scopri solo andando avanti col tempo, affinando le tecniche e progredendo nelle campagne. Non sono e non sarò mai uno da porzione singola. Credo che questo spieghi perché ho sempre giocato più di ruolo, piuttosto che da tavolo: mi piacciono le storie, mi piacciono le pause, quindi mi piace che la storia abbia un nuovo capitolo da raccontare. È così.
    I giochi di ruolo da questo punto di vista permettono maggiore profondità, ma nascondono un altro inganno, esattamente opposto a quello discusso: i gdr tendono ad assuefare gruppo e esperienza di gioco. Meriterebbe un altro post questo argomento. I gruppi di gdr si cementificano fino a diventare unità indissolubili, impermeabili al cambiamento. C'è del buono e del marcio in tutto questo, perché parte del divertimento è vedere interagire nuovi giocatori che con la sola loro personalità movimentano una campagna che può diventare stanca e ripetitiva nella sua formula standard. Insomma, il cambiamento apporta ossigeno, ti fa pensare in maniera differente, ma ogni passo in una nuova direzione non può essere casuale. Così, come dici alla fine pur di non scontentare nessuno si rischia di ripetersi all'infinito. A noi era il TPK a mettere la parola fine ad una vecchia campagna. Per un po' basta D&D e si passava a Rolemaster o al Richiamo di Cthulhu.

    Circa il collezionismo, ormai direi di non potere più comprare nulla dei Reami, e sono contento così. Se devo fare una spesa compro di quando in quando qualche prodotto Free League. L'ultimo è Vaesen. Mi sento di valutarlo, almeno sfogliarlo per saggiare la qualità grafica e dei materiali. A presto!

    RispondiElimina
  3. Ti dirò che le unità "indissolubili, impermeabili al cambiamento" hanno un loro perché: se dopo anni di gioco sei sicuro che ti troverai bene a giocare con quella selezionata cerchia di amici perché "rischiare" con qualche elemento nuovo sconosciuto? Ma è un po' una provocazione e mi rendo conto che si possono avere anche piacevoli sorprese!

    RispondiElimina
  4. Bel post, molto profondo. E anche i commenti. Credo che il non avere più tempo dipenda dall'essere cresciuti, dal dover stare dietro a una vita da adulto, al lavoro, alla famiglia... però è anche vero che i tempi sono cambiati e l'attuale tecnologia (internet) non permette più neppure ai giovani di annoiarsi, perché potenzialmente può risucchiare (mandare in fumo) ogni istante libero. E sì, concordo che questa mancanza di noia è anche una mancata possibilità. Scusate, sto parlando a ruota libera, grazie ancora per aver condiviso questa bella riflessione!

    RispondiElimina