Ogni volta che esce una nuova
edizione di D&D si aprono forum su forum nei quali si disquisisce
della bontà del nuovo prodotto rispetto a quanto già si possedeva.
Se
da un lato è vero che molti amano i cambiamenti, queste transizioni,
anche nel caso di sistemi più moderni, fanno sì che alcuni decidano di
non abbracciare il nuovo corso.
Le domande che un giocatore nato sotto una qualunque edizione, all’uscita della successiva, si pone normalmente sono:
1. E’
proprio necessario che io, dopo essermi letto la Treccani del gioco di
ruolo (e aver risparmiato sui soldi della merenda per comprarmi tutti i
manuali), debba riprendere in mano l’abecedario e sillabare i rudimenti
su di una nuova triade (Player’s Handbook, Dungeon Master’s Guide e
Monster Manual)?
2. E’
sempre D&D, no? Allora non dovrei essere in grado di utilizzare il
materiale di supporto che uscirà con qualche minima modifica?
La
risposta alla prima domanda è soggettiva, sarebbe ancor più una scelta
personale se le risposte agli interrogativi che seguono fossero
positive. Gusti a parte, le meccaniche si sono modificate via via a tal
punto da rendere riconoscibile il gioco, in cui ci si destreggiava ad
occhi chiusi, solamente dalle sei caratteristiche (FOR, DEX, COS, INT,
SAG, CAR) e dal titolo riportato sulla copertina.
Se
il trapasso dalla prima alla seconda è stato piuttosto indolore (sono
state sì riviste le classi e le razze ma il cuore in genere era quello)
la terza è stata una piccola rivoluzione.
Le
meccaniche della terza edizione (e 3.5) sono pulite e il gioco fila via
preciso, non si può obiettare, ma la continuità è spezzata. Da un punto
di vista di game design è un lavoro chirurgico teso a rispondere
a molte delle critiche dei giocatori che a fine anni ’90 chiedevano un
sistema più moderno, con skill variabili, regole omogenee e via
discorrendo. La terza risponde quindi a queste sollecitazione
uniformando i passaggi di livello, snellendo i Tiri Salvezza, invertendo
l’AC, introducendo il concetto di Feat/Talenti e Classi di Prestigio al
posto dei vecchi Kit. Tutto diventa più modulare, quando tiri il D20
devi sempre fare tanto, i valori alti in qualunque lato della scheda
sono preferibili a quelli bassi.
E’ però un’edizione gamista si dice tecnicamente, cioè che predilige il gioco
sull’interpretazione, questo si percepisce soprattutto nel capitolo del
combattimento che obbliga l’utilizzo di miniature e introduce la regola
dell’attacco d’opportunità, nel manuale dei mostri dove scompaiono le
ecologie e tutto lo spazio sulla paginetta è dedicato ai poteri delle
creature, alla proliferazione dei talenti e via dicendo.
Potrei
addentrarmi in questi discorsi triti e ritriti e forse lo farò in
futuro (del resto questo è un blog scritto per lamentarsi e troppo fair play
sarebbe fuori luogo), ma sono discorsi di più ampio respiro e in questo
post vorrei soffermarmi solo sul punto: è ancora D&D? E’ il gioco
che conoscevamo?
Non
proprio, è qualcosa di nuovo, che richiede l’apprendimento di una serie
di meccaniche nuove. Il combattimento , come già detto, e lo studio dei
talenti in particolare ne aumentano notevolmente la complessità e
radicalizzano i tempi delle sessioni: si passa molto più tempo a
pianificare le azioni durante gli scontri che a giocare l’avventura.
Personalmente l’ho provato e apprezzato alcuni aspetti del D20 System,
in alcuni punti è ancora visibile l’Avanzato, specie nella descrizione
degli incantesimi: prendete Sepia Snake Sigil, a parte due o tre
righe l’incantesimo è identico alle edizioni precedenti, tuttavia è
evidente che l’idea del gioco è cambiato.
Sulla
quarta edizione sarò più breve. Premetto di aver letto solo il manuale
del giocatore e di non averla mai provata, ma le impressioni che ebbi
inizialmente si sono nel tempo confermate. Se la tendenza della terza
edizione era gamista, nella quarta si radicalizza questo approccio. Subentrano nuovi concetti come le Healing Surge, che spero di non rivedere nella Next come regola ufficiale (anche se nella versione Beta è stata presente fino alla fine).
Come in Pathfinder
pare che ad ogni passaggio di livello debba accadere qualcosa: un
potere, l’aumento di una caratteristica, un talento, che insomma il
progresso del Pg sia incisivo per stimolare il giocatore. Il power play, definito come problema da prevenire nelle vecchie DMG, è la linfa vitale di queste nuove edizioni.
Creare
personaggi non giocanti al volo, se era già difficile alla terza, alla
quarta diventa impossibile, in Pathfinder impegnativo.
Per riassumere, rispondiamo alle tre domande che ci eravamo posti all’inizio:
1. Sì/No,
dipende da noi. Il mondo va avanti e le generazioni di giocatori si
susseguono. Spesso si arriva ad un punto di complessità dove è
necessario mettere un punto e andare a capo. Chi si approccia ad un gdr
per la prima volta ha bisogno di un prodotto pensato per il suo tempo.
Se invece sei un vecchio bisbetico, lascia perdere, possiedi finalmente
un sistema stabile che nessuno ritoccherà.
2. No,
non è più D&D, nel senso che si chiama così, ma è un gioco diverso
da quello uscito nel 1977 e nel 1989, le cose si sono complicate ancora
di più nel 2000, non parliamo del 2008. Diciamolo in altro modo, un
giocatore degli anni ’90 non si troverebbe agevolato ad imparare la
terza o quarta edizione rispetto ad apprendere Runequest, Rolemaster o
GURPS o qualunque nuovo gioco.
Intendiamoci,
non c’è nulla di male nel giocare o preferire un’edizione rispetto ad
un altra, a cambiare, rinnovarsi, aprirsi alle nuove tendenze. Quello
che si vuole qui ribadire è un concetto che forse può apparire scontato,
ma che a pensarci bene non è così: se aprite l’edizione del 1989 di
AD&D e del 2008 di D&D vi troverete tra le mani due prodotti
così differenti da non essere accomunabili. Immaginate di avere
un’edizione dello Hobbit del 1989 e leggere una nuova traduzione
vent’anni dopo: accetterete cambiamenti di stile e scelte linguistiche
(Pungiglione anziché Pungolo per dirne una), ma se vi cambiano la storia
difficilmente direte che è lo stesso libro.
Facciamo
un esempio con le macchine, prendiamo la Golf, se mettete in fila i
modelli dalla prima all’ultima serie riconoscerete lo stile. D&D è
come la Fiat 500 invece, in cui si parte con un modello di successo e ci
si trova con un parallelepipedo in cui le uniche cose in comune con
l’originale sono quattro ruote e il nome (parlo ovviamente del modello
precedente al quello rilanciato dall'ad Marchionne).
Consci
che le scelte fatte in passato hanno creato una diaspora tra i
giocatori, la Wizards of the Coast vorrebbe, con D&D Next, riportarci
tutti sotto lo stesso cappello, ci riusciranno? Mano a mano che le
regole da testare si concretizzavano mi sono sorti alcuni dubbi, ma sarà
necessario stringere tra le mani il prodotto finale per esprimere un primo affrettato giudizio.
La
mia idea è che il set di regole dovrebbe essere ininfluente. E’ lo
stile D&D che dovrebbe essere trasmesso di generazione in
generazione, con la creazione di moduli ibridi che rendano possibile
l’utilizzo delle diverse edizioni, un po’ come permettevano le avventure
delle fanzine, giocabili con quattro o cinque regolamenti.
Quando dico lo stile D&D, qualcuno avrà avuto i brividi, ma su questo ritornerò, lancia in resta in un prossimo post.
il passaggio dalla 1' alla 2' è stato molto più traumatico di quanto si pensi solitamente ;)
RispondiEliminaCiao Fabio,
RispondiEliminaanzitutto grazie del commento (ho aggiunto il tuo blog tra quelli della pagina). Capisco il tuo punto di vista, le differenze ci sono, alcune in particolare erano quel qualcosa in più che davano sapore al gioco e lo rendevano epico (i titoli che cambiavano ogni livello furono una grossa dimenticanza nella seconda).
La seconda edizione tuttavia permetteva ad un giocatore della prima di acquistare le avventure ed utilizzarle senza doversi preoccupare del nuovo regolamento e questo è quello che mi preme maggiormente mettere in evidenza.
I sistemi insomma erano largamente compatibili e potevano parlarsi nonostante alcune filosofie di base differissero.
Avremo modo di parlarne, spero, sui nostri blog! A presto.
Fabio,
RispondiEliminacome per la musica anche qui credo si possa tirare in ballo il concetto di "generazione”. Noi (e per noi intendo io e l’autore di questo blog, amico di lunga data) siamo nati con la seconda edizione, con il manuale del giocatore in mano quasi un prolungamento del tuo stesso braccio. Ho scoperto che esisteva la lingua inglese dalle pagine del Player’s Handbook poiché alle scuole medie avevo studiato ahimè il francese. Ricordo traduzioni di spell a dir poco imbarazzanti (un amico tradusse Remove Curse con “Rimuovi Corse”!!!) e dispute interminabili sulle pieghe del regolamento.
Come tutti quanti hanno il ricordo di un’età aurea della musica (per i miei genitori gli anni ’60, per molti miei colleghi gli anni del disimpegno sociale e del divertimento puro ovvero gli anni ’80, etc…) anche i giocatori di D&D sono legati ad una particolare edizione. Onestamente non so come si possa provare affetto per la 4a ma esisteranno pure questi disgraziati
puro Vangelo, direbbe Tex. E' la paranoia dell'evoluzione, ogni generazione critica la successiva ed è criticata dalla precedente. Che bello quando uscì la famigerata terza edizione e anch'io potei dire "I giovani non capiscono niente, noi sì che ci divertivamo!".
EliminaFigurati che all'alba dei wargames fantasy c'erano gli aficionados di quelli storici che li vedevano con sospetto e sarcasmo, dicendo che avrebbero lordato le campagne napoleoniche mettendoci dentro i draghi (che pensandoci bene è un'idea strafiga).
Ho amato anche la 2' ma col senno di poi ho preferito la 1'... in particolare penso che la differenza di fondo sia la Dungeon Master Guide di AD&D 1a edizione... un'esperienza mistica :)
Eliminaadoro infatti lo sfondo che hai scelto per il tuo blog :) (lo uso come avatar su forumfree :)
la prima e la seconda edizione sono quelle che ho giocato più intensamente, e se è vero che si potevano usare le vecchie avventure a livello di gioco le differenze si sentivano e tanto, pensa che la cosa era così poco immediata che me ne sono accorto dopo molte partite...
RispondiEliminaCiao Fabio,
Eliminaio credo che la differenze stesse proprio nei moduli avventura, nel tipo di approccio proposto. Ho visto che nel tuo blog hai recensito dei gdr, ma non ho (ancora) visto avventure, mi sbaglio?
Giusto per evitare di sovrapporci, dato il giusto incipit brontolone al blog, vorrei partire col riesumare qualche modulo e fanzine ;)
Non ho mai amato molto le avventure prefatte, troppo lavoro per i miei gusti per cui recensisci a gogo :)
RispondiEliminaE' chiaro che fare delle avventure in proprio cucite addosso ai propri giocatori è l'ideale, ma io non disdegno affatto quelle ufficiali: tanto con pochi ritocchi è facile adattarle alle singole necessità. E il lavoro di background che trovi già fatto ti risparmia molta fatica!
EliminaC'è però, in particolare per AD&D e nello specifico in Ravenloft, il problema del rating dei livelli: secondo me è assurdo dire che un'avventura è ideale per personaggi dal 4° al 6° perché, se non proprio un abisso, c'è una bella differenza in termini di potere tra i vari livelli. E poi i master leggendo quelle cifre pensano che magari con un po' di fortuna anche personaggi del 3° possano farcela e ne vengono fuori massacri...
Anche io faccio come te, Luca. Di solito, prendo un luogo e un periodo di un'ambientazione, controllo gli avvenimenti dell'anno dal quale voglio partire. A quel punto prendo 2 o 3 avventure e ci metto mano in modo che risultino prima di tutto di mio gradimento.
EliminaIl cuore dell'avventura rimane però riconoscibile. Come dici giustamente un occhio di riguardo va prestato al livello dello scenario, solitamente l'informazione è più affidabile quanto più completa (totale livelli gruppo, livello singole classi e tipologie di PG che non dovrebbero mancare). Ad ogni modo parleremo anche di questo ;)
@ Fabio: comincerò presto, ancora un paio di sermoni e poi provo a scrivere anche qualcosa di utile!
EliminaMattia, questo articolo è semplicemente perfetto! Io ho iniziato a giocare con la scatola rossa nel 1986. Sono poi passato ad AD&D 2nda edizione per passare nel 2000 alla 3.0 e alla successiva 3.5. Con la edizione successiva qualcosa si è bloccato e Pathfinder, pur essendo un ottimo prodotto, rendeva la creazione di PNG e mostri un lavoro di ore. Ultimamente, poi notavo che il gioco di interpretazione passava in secondo piano con intere sessioni a muovere pedine sulla griglia di battaglia: quasi stessi giocando a uno skirmish di WH Fantasy. Purtroppo la proposta al mio gruppo di tornare alle origini ha avuto come risultato l'abbandono della campagna. I giocatori di nuova generazione vivono le minori opzioni regolistiche della Red Box e della seconda edizione come un grave difetto.
RispondiEliminaCiao Maurino,
Eliminagrazie della visita. Hai cominciato qualche anno prima di me, ma le orme sono le stesse.
Ti ho quindi seguito a ruota fino alla 3a edizione, dove però mi sono arenato. Il sistema era bello, ma in quel momento della mia vita avevo probabilmente altre urgenze.
Ho quindi assaggiato appena la 3a edizione, giusto una manciata di sessioni. La 3.5 la possiedo, ma non saprei esattamente elencare le differenze con la 3.0 e mi pacerebbe che qualcuno mi spiegasse se questo cambio fosse veramente necessario.
La 4a l’ho letta solamente, ma per me non era veramente D&D e quindi non l’ho nemmeno presa in considerazione.
A distanza di anni, sono tornato alla seconda perché è il sistema in cui mi muovo meglio, ma capisco anche chi promuove la prima e la scatola rossa. Mi piacerebbe che leggessi il mio post “Lo spirito di D&D con 1D6 in tasca” e sapere che ne pensi.
Sulla nuova generazione: può darsi, ma si tratta di giocatori giocanti, lasciami dire già di vecchio conio. Esiste una platea di “non giocatori” che non sono avvicinabili dalla 3a, meno ancora dalla 4a, prova ne sia che non ne sono stati toccati. Vedremo il potere di penetrazione della 5° in Italia, anche se sono scettico, complici le scelte di marketing della WotC.
Il paradosso sta proprio nel fatto che, mentre i giochi da tavolo sono sempre più alla ricerca di una meccanica asciutta, i giochi di ruolo sono sempre più infarciti di opzioni deviando il loro target ai soli assidui.
D&D ti mette seduto e ti permette di giocare in 10 minuti, il giocatore non si doveva preoccupare neppure del tiro per colpire. L’idea era che il DM fosse il fulcro del gioco. Oggi siamo all’opposto. Hai Manuali del Giocatore giganteschi e la Dungeon Master Guide può attendere la pubblicazione. È un paradosso. Carichi i giocatori di responsabilità che possono essere, e spesso lo sono, anche indesiderate.
Nonostante consideri il PH una manna dal cielo, non è pensabile attrarre nuovi giocatori con un tomo del genere. Se in inglese poi, lasciamo perdere.
Per questo D&D base può essere la risposta ad una nuova frangia di giocatori in erba, che vogliono giocare la storia (su quelle sarebbe necessario investire, delle belle penne), misurarsi con le loro forze, non testare l’ultima micidiale combo che lo studio del regolamento gli permette.
A presto.