giovedì 6 novembre 2025

Gli sproloqui del Grognardo: perché sono ancora qui?

Tra un mese e qualche giorno e compirò 50 anni. La prossimità a questo traguardo, ma anche un filo inseparabile di nostalgia che ha accompagnato la mia esistenza, sono i motivi che mi hanno portato a empatizzare con l’articolo di Grognardia: why I stayed, perché sono ancora qui. Maliszewski si interroga su cosa abbia fatto sì che, dopo decenni, passi ancora tempo a scrivere e parlare di giochi di ruolo. Si chiede, in particolare, che fine abbiano fatto gli amici con i quali condivideva i pomeriggi, da ragazzino, intenti a vivere avventure immaginarie. Quale sia il motivo che ha portato i più, magari giocatori e master migliori di lui, a staccare del tutto, lasciarsi alle spalle quell’hobby che amavano tanto. Perché lui è ancora lì, mentre altri non toccano più i dadi?
Ci sono passioni che ci si cuciono addosso e ci seguono tutta la vita. Altre che ti appassionano da giovane, perdono completamente di significato in età adulta. Non ti emozionano più, relegate a un periodo di crescita fisica e intellettuale alle quali si sono accompagnate. È capitato anche a me, io sono uno dei traditori. Per dodici anni non ho giocato. Forse era questo verbo – giocare - il problema. Una parola che si associa al periodo dell’infanzia, un campo di addestramento per quando si mette la testa a posto e si diventa grandi. Un po’ come quando andiamo al parco e guardiamo ancora le altalene, è difficile che ci passi per la testa di salirci sopra. Così era per me, non mi sfiorava l’idea di sedermi di nuovo a un tavolo apparecchiato di miniature e cibo spazzatura. I miei manuali erano finiti in un cartone in mansarda, a casa di mia madre. Erano conservati gelosamente, retaggio di un passato glorioso e spensierato, ma non li avevo più aperti. Sarebbe stato un capitolo chiuso se, nel 2013, un amico non mi avesse chiesto di passare una serata a rinverdire i vecchi tempi. La scusa: festeggiare il 40° anno della defunta TSR. Pur prestandomi, lo avevo avvisato che non mi divertivo più. Avevo i miei motivi. Ci avevamo provato sporadicamente altre volte, ed era sempre stato un insuccesso. Per Natale, una tradizione che, riunendoci, rimetteva in discussione le nostre affinità. Come dicevo, il risultato era fallimentare. Vecchi amici, ora conoscenti, che continuavano a giocare come dei ragazzini, con la stessa leggerezza e noncuranza. Un rito che non poteva aver successo, dal momento che scimmiottava ciò che non eravamo più.